giovedì 24 luglio 2014

Intervento di Benito Mazzi in merito a Maestre allo sbaraglio

Riceviamo da Benito Mazzi il testo del suo intervento su Maestre allo sbaraglio durante la presentazione che si è tenuta venerdì 18 luglio a Santa Maria Maggiore (VB).
Un grazie da parte di tutte le Maestre allo sbaraglio.


Ringrazio Anna Bossi per avermi invitato a parlare del mio libro, ma è Maestre allo sbaraglio l’oggetto di questo incontro. Confermando quanto è stato detto finora, non posso che elogiare Anna e le sue collaboratrici per questa realizzazione, opportuna e completa, nella quale le  maestre raccontando se stesse descrivono l’evoluzione del tessuto sociale  del territorio nel quale si sono trovate a operare nel corso di settant’anni. La figura della maestra non è mai stata adeguatamente sottolineata. Mi stupivo che in Italia non esistesse un monumento alla maestra. Sapevo che in un paese della val Brembana c’è un monumento a una maestra particolarmente meritevole deceduta a soli 51 anni, ma si tratta di un monumento a una persona, non alla maestra – istituzione. 
Ho dovuto piacevolmente ricredermi: a Reggio Emilia lo scorso 29 maggio il Comune ha deliberato di erigere, per conto della Dante Alighieri, un monumento, opera del noto scultore Alessandro Romano, alle “maestrine” che dopo l’unità d’Italia diffusero la lingua italiana in tutto il Paese. Non mi è però dato sapere se l’encomiabile progetto sia andato in porto.
<< Simile monumento – si legge nella motivazione all’iniziativa –costituirà un importante riconoscimento, unico in Italia, a una figura che dalla seconda metà del diciannovesimo secolo ha contribuito in modo determinante alla realizzazione dell’unità nazionale. Dopo il 1861, infatti, e per molti decenni, veri e propri “plotoni” di giovani maestre armate di grande coraggio, passione, pazienza ed energia portarono nelle più sperdute località, attraverso l’insegnamento di una lingua che superava i dialetti locali, la consapevolezza dell’unità nazionale >>.
Parole sacrosante. Vorrei aggiungere che nella zone di montagna come la nostra la maestra era per i bambini, oltre che l’insegnante, una seconda mamma.
Per comprendere meglio il concetto è opportuno conoscere qual era nelle nostre vallate la situazione della donna.
<< Il supplizio, a cui vanno soggette le nostre donne di montagna nel coltivare gli sterili campetti e nell’allevare il bestiame, è superiore a ogni immaginazione>> scrive lo storico Renzo Mortarotti.<< In paese devono lavorare la campagna e attendere alla fienagione; sugli alpeggi devono custodire il bestiame e falciare l’erba selvatica nei boschi e tra i dirupi per mantenere una mucca in più d’inverno. Nelle veglie invernali poi, al caldo delle stalle o delle stufe, filano fino a mezzanotte >>.
Le donne erano poi utilizzate come “animali da soma” per i trasporti più pesanti: legna, fieno, strame, letame, carbone, carrucole di teleferica e altro. << Asini e buoi non sopporterebbero ugualmente i loro sforzi >> scrive il maestro elementare vigezzino Andrea Testore, grande innovatore sociale, deputato al parlamento della provincia di Novara.
Era pertanto molto arduo, se non impossibile, per queste povere donne trovare il tempo da dedicare all’educazione e alla cura dei figli i quali dovevano crescere com’erano cresciute loro, “senza tante storie”  o “inutili perdite di tempo con libri e quaderni”, evitando di porsi troppe domande, ubbidendo ciecamente ai genitori e parlando il meno possibile.
Da qui la straordinaria importanza che assumeva la maestra (più rari erano i maestri), che si trovava a essere, oltre che l’educatrice, la consigliera dei  suoi alunni, dei quali carpiva tutti i segreti e ai quali finiva per affezionarsi profondamente, spartendone le pene e le gioie piccole e grosse di ogni giorno. Non esisteva comunicazione tra genitori e figli, meno che meno confidenza, al padre e alla madre nella maggior parte dei casi si dava del “voi”. I piccoli dovevano tenersi tutto dentro, gli unici confidenti erano i compagni e la maestra.
<< Quando in casa mia scoppiava il finimondo prendevo la porta e andavo a bussare dalla mia maestra >> scrive in un diario rinvenuto dopo la sua morte in un cassonetto della spazzatura un anonimo valligiano.<< Mio padre, artigiano, qualcosa guadagnava, ma aveva l’amica e i suoi soldi finivano là, mentre noi avevamo le pezze nel didietro. Mia madre per consolarsi beveva. Quando lui tornava a casa si scatenavano liti furibonde che finivano a schiaffi e pugni. Ogni sera. Non terminavo neppure di mangiare, scappavo piangendo e pregavo il Signore che facesse morire mio padre. Attraversando il paese vedevo le luci accese nelle case. In alcune la gente parlava e rideva intorno al fuoco. Erano più poveri di noi ma felici, li invidiavo. La maestra mi teneva accanto a sé, mi accarezzava e mi dava i biscotti di mais. Una volta l’ho vista piangere. Piangeva per me, per la mia situazione, l’ho capito da come mi guardava e mi stringeva a sé >>.
Per chi la famiglia non l’aveva più, per quegli scolari dei preventori della Croce Rossa che avevano perduto i genitori in guerra, sotto i bombardamenti o le alluvioni, o non li avevano mai conosciuti, la maestra era la fiammella alla quale cercavano disperatamente di riscaldarsi. <<Usavo un grembiule verde allacciato davanti, un giorno lo trovai senza bottoni >> scrive nei suoi ricordi la professoressa Apollonia Sommaria di Domodossola, nel 1946 maestrina presso la Colonia montana di Druogno.<< Alcune bambine li avevano strappati tutti e ciascuna si teneva in tasca il suo, per avere qualche cosa della maestra, per avere la sensazione della sua presenza, anche quando non c’era >>.
Concludo con un pensiero della professoressa di Liceo Pinuccia Catenazzi per tanti anni maestra di montagna e di lago:<< Chi insegna non solo trasmette il suo sapere, ma anche profonde nell’atto parte di se stesso, parte della propria vita, della propria anima. Passeranno gli anni, le vicende muteranno, nomi e volti sfumeranno, ma insegnante e allievi saranno per sempre, anche se inconsapevolmente, l’uno nella vita dell’altro>>.

Ben venga, dunque, il monumento alla maestra!

                                                                                              Benito Mazzi
 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Discorso interessante e ricco di spunti per una riflessione sul ruolo delle maestre e delle donne. Grazie per averlo condiviso.